La violenza nella relazione di coppia

Mentre mi accingevo a scrivere il presente lavoro, mi è capitato tra le mani un articolo di Telmo
Pievani (2009), dal titolo “Il sesso”. Pievani, studioso di biologia evoluzionista, si interroga sui
vantaggi della riproduzione sessuale che pare esista da oltre due miliardi di anni, rispetto a quella
asessuale, di gran lunga meno costosa poiché, “non avendo bisogno del maschio, può far leva su una
più ampia diffusione tra la popolazione.”
Perché allora il sesso non è stato definitivamente soppiantato dalla partenogenesi? – si chiede
Pievani?
“Dal momento che la selezione agisce subito sulla progenie, e non in previsione, la soluzione
dell’enigma potrebbe trovarsi nelle caratteristiche adattative della prole: meglio clonare individui
geneticamente identici al genitore o avere discendenti diversificati fra loro? Dipende dalla velocità
di cambiamento dell’ambiente circostante, suggerì William Hamilton negli anni ottanta: se il
contesto delle pressioni selettive è stabile, conviene la prima soluzione, se è mutevole, la seconda.
Ma per compensare il costo dei maschi e offrire vantaggi immediati, l’ambiente deve cambiare a
una velocità tale da essere percepibile al passaggio da una generazione all’altra e rendere così
conveniente il sesso già nel breve periodo. Secondo Hamilton, l’unica componente dell’ecosistema
con queste caratteristiche è la resistenza ai parassiti e alle malattie. La riproduzione sessuale
garantirebbe cioè un’incessante diversificazione genetica di generazione in generazione, obbligando
gli aggressori ad aggiustare continuamente il tiro. In questo modo l’ospite, ricombinando di volta in
volta il corredo genetico nei discendenti, lotta contro la sempre nutrita schiera dei suoi parassiti, che
sono più veloci nel mutare e nell’aggirare le sue difese.

“Bisogna correre sempre, (ovvero diversificarsi) per poter restare fermi nello stesso posto…”. (Pievani T., 2009)

Nell’articolo si dice anche che sono state trovate tracce di sessualità nel DNA di organismi che si
ritenevano da sempre asessuali, a riprova del fatto che nella storia evolutiva ci sono stati anche
passaggi inversi dal sesso all’asessualità. Pare che solo alcuni piccoli invertebrati di acqua dolce
abbiano avuto una storia ininterrotta di partenogenesi per oltre 100 milioni di anni.

Facendo un parallelismo, certamente un po’ azzardato, tra riproduzione asessuale e narcisismo, mi
sono chiesta se si possa ipotizzare l’esistenza di componenti narcisistiche nelle relazioni violente,
nelle quali prevale una sessualità polimorfa e perversa che non prevede la diversità. In presenza di
marcate componenti narcisistiche il partner non può essere diverso e quando manifesta caratteristiche
proprie va eliminato. Le declinazioni di questa sessualità, oltre alle manifestazioni
delle pulsioni parziali, il voyerismo-esibizionismo, sarebbero rintracciabili in tutte le forme di
sado-masochismo. Inoltre, andrebbero studiate queste stesse manifestazioni anche negli attuali
orientamenti verso le diverse forme di fecondazione artificiale che, pur trattandosi di riproduzione
sessuale da un punto di vista cellulare, ben si agganciano alla fantasia dell’autoriproduzione, grazie
all’assenza di contatto diretto con un altro essere umano.

In questo breve contributo cerco di analizzare le cause della violenza nella coppia, partendo dal
punto di vista psicoanalitico e micropsicoanalitico, ovvero considerando l’intreccio tra le
componenti pulsionali e le dinamiche relazionali.

Per la clinica mi avvalgo dell’esperienza maturata nella pratica micropsicoanalitica e del lavoro
svolto nel centro antiviolenza Aiuto-donna di Bergamo, con cui collaboro come consulente,
supervisore e tutor di tirocini da molti anni.
Le statistiche Istat non lasciano spazio a dubbi interpretativi sulla violenza di genere in Italia e le sue
declinazioni nella relazione di coppia. Nel 2016 il numero totale di omicidi è stato 400 dei quali 251
uomini e 149 donne. Degli uomini solo 7 sono stati uccisi dal partner o ex partner, mentre delle 149
donne 66 sono state uccise dal partner o ex partner. In termini percentuali il 51% delle donne
risultano uccise dal proprio partner o ex partner. Un dato in leggera diminuzione nelle statistiche dal
2007 al 2016, fatto salvo per il 2014 in cui è stato registrato un innalzamento al 54,7%.
Sempre nello stesso anno, i condannati con sentenza irrevocabile per violenza sessuale sono stati 101
maschi (44 italiani e 57 stranieri) e 3 femmine (2 italiane e 1 straniera).
Questi dati confermano una connotazione prevalente maschile della violenza nella coppia. Bisogna,
inoltre, amaramente constatare che le misure legislative poste in essere sulla base di questo dato, non
hanno portato ad una contrazione della violenza. Va, inoltre, considerato un altro dato che riguarda
l’incidenza della violenza nelle relazioni omosessuali.
Alcuni dati: Nel 2007 il Journal of Urban Health, pubblicato dalla New York Academy of Medicine
evidenziò che circa il 32% degli omosessuali aveva dichiarato di aver subito abusi da uno o più
dei partner che hanno avuto nella vita e che tali atteggiamenti di violenza fossero spesso correlati ad
abuso di farmaci, alcol o droga oppure a condizioni psicopatologiche. L’alta percentuale dei casi di
violenza nelle coppie omosessuali fu poi riportata da Finneran e Stephenson (2012) attraverso lo
studio di ventotto coppie gay. Uno studio più recente, di Buller et al., 2014 ha confermato che
appena meno della metà, ovvero il 48% delle diciannove coppie intervistate avesse subito episodi di
violenza.
Sembrerebbe quindi che la violenza nella coppia non sia solo una questione di genere.
Per maggiore chiarezza e per evitare di cadere nei luoghi comuni sostenuti dalla stampa e dai social
network, che danno enfasi solo agli episodi più gravi senza prestare attenzione a ciò che è avvenuto
prima del femminicidio, dello stupro, dell’infanticidio, iniziamo a dare una definizione di violenza e
a distinguere le diverse manifestazioni.
Violenza: “forza impetuosa, incontrollata. Azione volontaria esercitata da un soggetto su un altro,
in modo da determinarlo ad agire contro la sua volontà. Dal latino violo, avi, atum, are: usare
violenza, violare, oltraggiare, far male, maltrattare”.
Quindi violenza e maltrattamento sono sinonimi.
I tipi di violenza più facilmente identificabili sono:
Violenza fisica: passaggio all’atto di un impulso aggressivo etero-diretto.
Violenza sessuale: passaggio all’atto di un desiderio sessuale attraverso la costrizione, le minacce i
ricatti.
Ci sono altre manifestazioni della violenza, apparentemente meno evidenti come:
La violenza economica: consiste in comportamenti basati sempre sul controllo, tra cui è bene
citare: limitare o negare l’accesso alle finanze familiari; occultare l’informazione sulla situazione
patrimoniale e le disponibilità finanziarie della famiglia; vietare, ostacolare o boicottare il lavoro
fuori casa.
La violenza psicologica li unifica tutti ed è presente in tutte le relazioni conflittuali. Si tratta di
quell’insieme di insulti, minacce verbali, intimidazioni, denigrazioni, svalutazioni, che il soggetto
esprime nei confronti del proprio partner. Essa si manifesta anche attraverso le interminabili
battaglie legali, in cui la coppia genitoriale si contende i figli, utilizzati come mero strumento di
contrasto ed aggressività reciproca.
Molti studiosi che hanno svolto ricerche sulla violenza di genere, hanno raccolto dati secondo i
quali esisterebbe una sostanziale simmetria nell’esercizio della violenza da parte di uomini e donne
all’interno di una coppia. (Archer J., Murray A. Straus 2000) Tra questi cito anche il lavoro di un
gruppo di italiani (Macrì et al. 2012) che hanno preso in esame un campione di 1058 soggetti
maschi reperiti su tutto il territorio nazionale. Il 63,1% degli intervistati ha dichiarato di aver subito
almeno un episodio di violenza fisica all’interno della coppia, nel corso della propria vita. Per
quanto riguarda la violenza psicologica, invece, il campione ha denunciato una situazione che, a una
prima lettura, può apparire allarmante: ben il 73,2% degli intervistati, infatti, ha dichiarato di aver
subito violenza psicologica da parte del partner femminile.
Una ricerca interessante sulla simmetria o asimmetria nella violenza di coppia è quella di Heidi
Lary Kar, MHS, MA K. Daniel O’Leary PhD. (2010)
Gli autori hanno analizzato 453 giovani coppie e rilevato che non esisteva una netta prevalenza di
genere nella violenza, fatta eccezione per quella sessuale. Inoltre il punteggio alla scala della
depressione delle donne, era quasi il doppio di quello degli uomini. In questi soggetti è stata
riscontrata discrepanza anche nei livelli di paura dell’altro sesso, di gran lunga superiore nelle
donne rispetto agli uomini. Le conclusioni degli autori sono state che non esiste una risposta
univoca alla domanda sull’esistenza di simmetria o asimmetria nella violenza di coppia. La risposta
è in funzione del dato che si sta analizzando, che si tratti cioè di danni fisici, aggressività sessuale,
paura, lesioni e sintomatologia depressiva.
In conclusione, fatto salvo il dato delle lesioni fisiche che, secondo questa ricerca, sarebbero
equivalenti in entrambi i sessi, tutti gli altri dati sarebbero da mettere in relazione a componenti
soggettive e quindi al quadro personologico.
Le cose si complicano…
Un apporto importante alla ricerca sull’eziologia della violenza nella coppia, proviene dai
sostenitori della teoria dell’attaccamento, secondo i quali le componenti sadomasochistiche presenti
in entrambi i partners sarebbero riconducibili ad esperienze precoci e protratte di maltrattamento e
trascuratezza. La perpetrazione della violenza, sarebbe quindi il frutto di un’inconscia
identificazione a genitori maltrattanti, che non si sarebbero presi adeguatamente cura dei propri
figli. Peter Fonagy, (1998) collega la psicopatologia del perpetratore ad uno stile di attaccamento
disorganizzato.
Lo stile di attaccamento disorganizzato rappresenta spesso la conseguenza di
relazioni di maltrattamento o di abuso, da intendersi non solo in senso “fisico” o “sessuale”, ma in
una più larga accezione che comprende sia situazioni di grave trascuratezza fisica ed emotiva, sia
situazioni in cui il genitore non riesce ad entrare empaticamente in sintonia con il figlio,
mantenendo una relazione impostata sulla proiezione dei propri bisogni e desideri.
Il bambino con attaccamento disorganizzato sarebbe candidato a diventare un perverso
sadomasochista, ma come sappiamo, anche questo dato non è generalizzabile, perché le evidenze
cliniche e non solo, testimoniano di soggetti che, pur a fronte di gravi traumi, anche da violenza
assistita, maltrattamenti ed abusi, ecc. non sempre sviluppano personalità patologiche, non
diventano tout court dei narcisisti, incapaci di qualsiasi relazione al di fuori di quelle finalizzate
alla propria gratificazione.
Si torna sempre alla contrapposizione tra trauma reale e trauma psichico, rispetto alla quale la
micropsicoanalisi mantiene una posizione freudiana: pur riconoscendo il peso degli eventi reali,
tiene conto della soggettività dell’individuo, delle sue possibilità di elaborazione del trauma anche
in relazione alle componenti ereditarie filogenetiche.
Entriamo quindi nel punto centrale della discussione su cui, per altro, mi pare concordino tutti
coloro che si sono occupati dell’argomento: i soggetti che agiscono e perpetrano la violenza
(qualsiasi tipo di violenza) in una relazione di coppia possiedono alcune caratteristiche psichiche
che sono il narcisismo e la perversione. Sandra Filippini (2005) distingue la perversione sessuale da
quella relazionale. La relazione nella coppia violenta sarebbe caratterizzata da una modalità
perversa in cui prevale la dinamica del controllo e della sottomissione. “Io considero la perversione
relazionale come la messa in atto di un insieme di comportamenti diretti a controllare e dominare
la vittima, a trattarla come cosa non umana”.
Ciononostante, non possiamo dimenticare che ci stiamo occupando di relazioni affettivo-sessuali e
che tutto ha inizio con l’innamoramento, la fascinazione e l’idealizzazione, l’illusione, cioè, che
l’altro possegga le caratteristiche del proprio ideale dell’Io.
Parlando di caratteristiche, si intendono quelle personologiche, somatiche e sessuali. Ciò è
particolarmente evidente negli amori omosessuali in cui la delusione amorosa, il disinnamoramento,
poggia spesso sul riscontro che il partner è mancante di quegli attributi sessuali tanto desiderati per
sé stessi.
Nell’innamoramento l’oggetto è investito di libido narcisistica. Il passaggio alla vera relazione
oggettuale avviene con l’elaborazione del lutto: la rinuncia all’oggetto ideale, alla possibilità di
assurgere all’onnipotenza e con il riconoscimento/accettazione delle caratteristiche reali
dell’oggetto.
Questa dinamica psichica ha un corrispettivo anche sessuale che potrebbe essere riassunto come
segue: nell’innamoramento (considerato come condizione narcisistica non patologica), come nelle
patologie narcisistiche, la sessualità si esprime come spinta all’unione con l’altro per realizzare il
desiderio di eliminare la solitudine e di autoriprodursi (riproduzione per partenogenesi). La capacità
di accedere alla relazione oggettuale (la scelta oggettuale per appoggio, per usare una terminologia
freudiana) consente di superare la ferita narcisistica della fine dell’innamoramento, di riconoscere la
diversità del partner a cui consegue anche il riconoscimento della riproduzione sessuale, cioè che
per garantire la continuità della specie le nostre cellule sessuali devono obbligatoriamente (almeno
per ora) congiungersi con quelle del sesso opposto.
Parafrasando la frase di Pievani “Dobbiamo correre (cioè diversificarci) per restare fermi”,
potremmo dire che dobbiamo riconoscere l’esistenza dell’altro, operare uno spostamento libidico su
di esso (muoverci), per poter costruire una relazione che sia l’espressione di vera complementarietà
psicobiologica.
In alternativa si vivrà costantemente in un “come se”, una finzione, una costruzione
forse
paragonabile a ciò che Correale A. (2017) definisce “allucinatorio”, in cui l’esistenza del partner è
funzionale al momentaneo raggiungimento della distensione e al perseguimento del desiderio di
autoriprodursi. Il prodotto di questa autoriproduzione fantasmatica sarebbe il duplicato di un essere
totipotente paragonabile solo a Dio o, come aveva scritto Peluffo N. (2005), ad una cellula
staminale. La complementarietà psichica della coppia sarebbe quindi corrispondente ad un falso
allucinatorio.
In queste condizioni, non appena si crea nella capsula narcisistica un varco che introduce l’esistenza
dell’altro, scatta nel soggetto il vissuto persecutorio di invasione e la risposta aggressiva, talvolta
spinta fino all’eliminazione fisica dell’altro.
Metaforicamente parlando, “l’elemento che s’infila nel varco” può essere qualsiasi micropscopico
fatto o dettaglio della vita quotidiana che cercherò di illustrare con un esempio clinico.
La coppia è così costituita: una giovane donna sterile e un giovane uomo, si sono incontrati e
innamorati. Sull’onda dell’innamoramento hanno deciso di avere un figlio con fecondazione
eterologa. Dopo accurate ricerche è stata individuata una donatrice compatibile ed è avvenuta la
fecondazione degli ovuli.
L’iter della gravidanza non è stato senza complicazioni: non sono mancate minacce di aborto con
perdite ematiche e dilatazione della cervice al 5 mese e successivamente contrazioni uterine dal
settimo mese. Per riuscire a portare a termine la gravidanza, la donna rimase ricoverata un mese in
ospedale.
Dal ritorno a casa è iniziata la “guerra dei Roses”: quelle stranezze già intraviste nel partner e subito
accantonate, con l’idea che l’amore avrebbe cancellato qualsiasi nube, divennero una triste
evidenza, impossibile da negare. La guerra era su chi dei due fosse il genitore più capace di
prendersi cura del neonato. Iniziarono le denigrazioni di lui sulla capacità della moglie di allattare il
bambino, sulla qualità del latte. Il sadismo si esprimeva anche attraverso dispetti: dava l’aggiunta di
latte artificiale mentre la moglie si stimolava il seno con il tiralatte, oppure riponeva il biberon nello
scaffale più in alto della cucina.
In un breve volgere di tempo, la giovane donna esasperata, tornò a vivere con i genitori.
L’aggressività divenne ancora più accesa, sia con strumenti legali (denunce per omissione del diritto
di visita, ricorsi al tribunale per la destituzione della potestà sul figlio), che con minacce verbali e
violenze fisiche. La donna, da canto suo, riconosceva che, l’allontanamento dal compagno, dettato
dal bisogno di tutelare se stessa e il bambino, era accompagnato da una profonda ferita narcisistica
avvertita come delusione: lui non era quello che pensava che fosse, inizialmente le era sembrato che
condividessero tutto, ben preso si accorse di essersi sbagliata.
I due partner si erano incontrati sulla base di una complementarietà narcisistica che aveva loro
consentito la realizzazione di una fantasia: l’autoriproduzione. Una volta realizzato il desiderio con
la procreazione eterologa, erano reciprocamente diventati un ostacolo al mantenimento
dell’illusione e la prova evidente della complementarietà psicobiologica degli esseri a riproduzione
sessuale.
L’unica via d’uscita era l’eliminazione anche fisica dell’altro.
Tornando, ancora una volta, alla frase mutuata da Pievani “bisogna correre, (cioè diversificarsi) per
restare sul posto”, ribadiamo che per poter instaurare e mantenere una relazione con l’altro,
dobbiamo differenziarci e riconoscere/rispettare le caratteristiche reali dell’oggetto. In caso
contrario, la relazione di coppia è destinata al fallimento o ad un incessante ripetizione di dinamiche
aggressive.


BIBLIOGRAFIA
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https://www.youtube.com/watch?v=McShFGmWjyY
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Men: A Systematic Review Published online 2012 Dec 26. doi: 10.1177/1524838012470034
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Intimate Partner Victimization? Not an Either/Or Answer Partner Abuse, Volume 1, Number 2,
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